...due sono state e sono tornate le terre, due furono e sono di nuovo gli antichi regni ed uno è rimasto, da sempre, il confine del presente...

domenica 28 febbraio 2010

Tre giorni a Tindòra


Ho riposato a Tindòra tre giorni, tre lunghi giorni per rintracciare il ricordo di Magèia nelle poche memorie che di quel lontano, lungo felice e strano periodo mi rimangono. Qualcuno mi ha aiutato a farlo, qualcuno che dista da me secoli di starde percorse, ma che inaspetttamente trovo vicinissimo. Ho rivisto le fontane, le piazze, numerose, i boschi floridi attorno alla città. Ho rivisto i Maghi, portatori di profondità e di inaspettate favole. Ho ripensato ai miti che sostenevano ogni storia, alle leggende che impregnavano del loro sapore tutte le cose. Io stesso ero uno di loro, piccolo ma pur sempre uno di loro, un giovane piccolo mago; ho creato qualcosa che continua a esistere soltanto perchè questo era quello di cui avevo bisogno. I sacerdoti infine hanno dissacrato ogni cosa, hanno corrotto il corruttibile, hanno allontanato dalla vista di tutti ogni cosa bella e magica. Lo hanno fatto perchè il mondo non è la magia che i maghi e i bambini credono, non è la speranza senza limiti che ripongono in ogni cosa, e non la terribile paura davanti ad ogni ignoto che incontrano. I sacerdoti mi hanno permesso di crescere e hanno concesso alla stirpe dei maghi di eclissarsi e di rifugiarsi in un dove imprecisato, lontano dalle loro regole. A Tindòra scopro che molto di quel mondo che credvo perduto vive ancora. Forse brace ardente sotto cenere spenta, forse una vena d'oro brillante in cave di ferro e piombo, forse niente di tutto questo. Eppure riesco a ritrovare molte di quelle magie, come il grande mago rifondatore, le ritrovò quando i sacerdoti si estinsero. Fu un'era di passaggio molto confusa, come tutte le ere di passaggio, e come tutte le ere in generale, che sono sempre di passaggio fra quella che precede e quella che segue. Ogni terra è una terra di mezzo tranne le due terre che tutto hanno tranne un 'mezzo'. Il 'mezzo' sfugge, lo si rincorre ma non lo si ferma mai, non lo si paralizza mai, non lo si fissa, proprio come il presente. E fra passato e futuro, a Tindòra, mi ricordo del mio passato, un lontanissimo passato e immagino un futuro per questo regno; come un mondo 'classico' rivissuto prima in un rinascimento e adesso in un neoclassicismo...che cosa sto dicendo?...ma sì: i sacerdoti sono stati come un medioevo, una fruttosa stagione oscura, un crogiuolo di forze...a Tindòra riprendo la faroza del mio passato, dell'era dei Grandi Maghi, dei Sacerdoti, del Mago rifonadtore e infine...

venerdì 26 febbraio 2010

Il Lapis Lapsus e la storia del Regno: terzo mistero

Sospeso, nel SS, sospeso e iridescente anche se azzurro acqua. Il Lapislazzulo è di nuovo alla mia vista, fra le mie mani. Sospeso lo afferro, lo stringo, ne intuisco la musica, le parole, la storia. Di nuovo fra le mie mani, di nuovo nella mia storia. Nessuno a custodirlo, lui basta a sé stesso, lui conserva quello che nessuno oggi conosce. Il Lapis Lapsus Ex Coelis è caduto dal cielo, molto tempo fa. La leggenda narra che sia atterrato nel giardino di Magèia, la città fortezza scomparsa dei Grandi Maghi del passato. Nessuno conosce con esattezza il tempo esatto, ma sarebbero stati loro a trovarlo, a custodirlo, a scoprirne le capacità informanti e informative. E loro avrebbero creato la casta dei grandi Sacerdoti di Tindòra, perchè attraverso di esso potessero governare il regno dell'Unica Terra. Ma così non è stato, così non è andata. E i sacerdoti sono stati avidi, hanno voluto quello che non potevano: controllare l'incontrollabile, ricondurre tutto a regole perfette. E il regno si è spaccato, irrimediabilmente diviso in due, ed i Maghi sono scomparsi lasciando i Sacerdoti in un governo confuso e continuamente in conflitto. Eppure il tempo ha avuto la sua parte. La fine della casta, misteriosamente abbattuta e estinta, ha portato la pietra nelle mani di un nuovo mago, un nuovo re mago, signore, infine, delle due terre. M. consegnò a me il Lapis, dicendomi di averlo trovato nei suoi giardini ed io lo regalai al Viaggiatore prima che mi prendessi il suo nome. Oggi torna nelle mie mani, con tutta la storia del Regno, con tutta la portata funesta e benefica delle due terre. Oggi torna nelle mie mani, il lapis azzurro caduto dal cielo, il sogno di una terra unita, nelle mani del nuovo re.

giovedì 25 febbraio 2010

M., secondo mistero

Ci sono luoghi che non ci appartengono più, e un luogo non è soltanto reale. Ci sono metafore della vita che a tratti scegliamo di impastare, e altre che abbandoniamo come appartenenti a qualcosa che ci lasciamo dietro. M. è in questo e in molto di più. Ci siamo incontrati quando io ho avuto la necessità di andare e trovare qualcosa di oltre e tu, spontaneamente mi hai portato a quello che adesso sto cercando di nuovo, a Tindòra. Sei stato tu a donarmelo, a donarcelo, perchè ero con chi adesso non si vede, ma che ancora esiste, qui. Esistere è un temine generico, da riempire ognuno con i propri significati. Non basta la vita per far esistere qualcosa, non basta il pensiero, talvolta e necessario solanto il desiderio. L'albero, quello davvero non l'ho più visto e quello davvero vorrei rivedere un giorno. Mi hai condotto per la mia slavezza sull'isola di F., eppure scopro adesso che forse sarebbe stato meglio rimanere sul mio trono, sulle mie terre...o forse no, forse è stato giusto fare così. Eppure che cosa è giusto? puoi almeno tu dirmelo? hai la percezione della giustizia? di te mi sono sempre fidato, nonostante la mia resistenza a farlo con chiunque altro. Di te ho sempre lasciato che corressero le parole, poche, di te. Di te ho lasciato che scorressero le emozioni, pochissime, di te. Adesso che sei scomparso alla mia vista rinuncio al tuo nome, lo cusodisco nel cuore del cuore delle terre del re e lo porto oltre, a Tindòra.

Tindòra e il lago Fato

Nessuno, nessuno. Le nove colonne del tempio, come furono le torri della città del re rovinata, sono sole ad aspettare chi per primo, ha il coraggio di afferrare l'oggetto sacro, nel sacta sancotorum. Nove colonne come nove un tempo erano gli dei venerati nella città. E di questa soltanto fondamenta, soltanto la rovinosa fine. E' stata forte Tindòra, è stata direzionale, funzionale, utile e austera. I sacerdoti non ammettevano dissenzi, non volevano controversie, e giudicavano e svalutavano e combattevano qualunque eresia si presentasse davanti a loro. Eppure il mago, da essi stessi generato, ha fatto la loro fine.
Nove colonne, nove come l'enneade sacra, come l'imperfetto che tende alla perfezione, come l'uomo proteso al divino dieci. I sacerdoti hanno custodito qualcosa che tutti avrebbero voluto e il mago, o forse M., alla fine del suo tempo ha riposto lì, ha riconsegnato alla storia fuori dal suo tempo. Il deserto la inonda, la sommerge e il vento la riscopre, la rivela sempre. Tindòra, la sacra città decaduta dei sacerdoti, l'austera via da seguire, la dritta via da non dimenticare e che nonstante tutto, è scomparsa nelle sabbie calde dell'oblio. Oggi posso sorridere per essere stato bambino fra le sue porte, fra le sue mura di terra e fango, per aver capito in tempo che cosa mi attendeva, che cosa attendeva tutti. Oggi sorrido e torno a rubare quello che mi appartiene. Lontano il lago Fato, grazie al quale, secoli fa, mi sono salvato.

mercoledì 24 febbraio 2010

Tindora, l'antica città dei sacerdoti

Di Tindora rimane un solo tempio, un solo arido tempio nel secco deserto a nord del lago Fato. Sapevo che quello che sto cercando si trova lì, custodito forse dagli ultimi rimasti di un'antica casta. L'onda provocata dalla diga è passata e non ha risparmiato chi non doveva risparmiare. L'onda delle acque liberate ha liberato i miei pensieri e adesso scenderò a valle, nell'antico tempio, per riprendere quello che è mio da sempre.

martedì 23 febbraio 2010

La diga, il castello, l'isola

Sono voluto fuggire, sono voluto evadere da una gabbia dorata, da un inferno bellissimo, da un'isola che altro non faceva che proteggere la mia incapacità di andare oltre. E il fiume ha cominciato ad innalzarsi, a sommeregere terre emerse, a riunirsi laddove si separava. Sono stato io, sono stato io ad innalzare quella diga, sono stato io, il vecchio re. Soltanto io adesso posso abbatterla, non senza danno per tutte quelle popolazioni che col tempo si sono stanziate oltre, si sono adoperate per sfruttarla, per utilizzarla a prioprio vantaggio.


La vedo, la percepisco. Alta imponente, maestosa, orgogliosa della propria esistenza. Magnifica nella forza, inutile al normale fluire delle cose, del fiume, dei pensieri. Anche l'Arkejon racconta di barriere, ce ne sarebbero state in passato, e di molto alte. Si racconta di una vecchia dimora, di molte stanze, di un bosco tutt'intorno a proteggerla da ogni sguardo. Infine si parla della sua rovina, della sua decadenza a vantaggio di qualcosa di più libero e aperto, di un castello sul lago, il castello del mago. Lo vedo, nei miei sogni, rimasto immobile e leggero, potente e inconsistente. La diga come quel castello cadranno sotto il peso di un nuovo cielo, di una nuova luce; le crepe sulla sua superficie rivelano che la catastrofe è già cominciata. Ricordo un passato più o meno lontano, ricordo la rovina di molte cose che sono state e che non sono più. Sono bastati i miei occhi, il mio pensiero, il mio desiderio perchè tutto cambiasse, come sempre. Il fiume rientra nel suo corso, l'isola riemerge.

domenica 21 febbraio 2010

Luoghi magici

Sì, ci sono luoghi magici, luoghi visibilmente instabili alla ragione, luoghi reali, dove il res è sempre mentale e non ctonio, dove il confine fra ciò che percepiamo e quello che crediamo essere vero non esiste; luoghi inesistenti, luoghi incantati, fantastici dove il sogno è la nostra natura, perchè riconosciamo che di essi soltanto siamo fatti. Esistono luoghi, immagini, suoni, percezioni sedimentate nel profondo di qualcosa che non sembra avere fondo, che non appare nelle sue apparizioni istantanee e fulminee; esistono luoghi che sono semplicemente non luoghi, magici per questo e per molto altro. Sono stato un mago, un mistico, un monaco miscredente, un naufrago viaggiatore, un antitetico conservatore; sono stato quello che credeva nella magia del mondo, nella soprannaturalità di eventi che solo io vedevo e amavo. Oggi sono quel mondo, oggi respiro i miei ricordi, li avverto sulla pelle e divento io stesso la magia che credevo esterna; divento l'esterno e l'interno e l'occhio guarda nella direzione opposta a creare mondi metaforici, castelli e creature incredibili...ho imparato a diffidare di quello che sembra chiaro e solubile..oggi credo e vedo quello che di più incredibile e solido prima non vedevo abbastanza. Ci ritroveremo alla prossima luna, Ergon, alla prossima luna. Piango le mie fatiche che diventano gioie una volta vittoriosamente risolte...come sempre. Abbatterò la diga, l'isola sacra tornerà a mostrare le sue meraviglie. Te lo prometto.

Partenza da Ergon

"E' soltanto un passaggio, soltanto un sentiero nella notte, soltanto una oscura metafora della vita. Credevamo di esserci persi, credevamo che le terre, l'antico regno si fosse estinto, consumato, sgretolato sotto il peso delle cose, eppure un passaggio ne mostra l'ingresso, ne mostra l'orizzonte, ne apre la speranza. Siamo stati quello che abbiamo voluto; siamo stati quello che non potevamo sapere, siamo stati e ancora siamo; adesso non possiamo conoscere il nostro futuro e poco anche il presente scorrerre degli eventi. Il sentiro conduce alle terre del re, perchè nulla è impossibile a lui. "Arkejon, cap. I Ho lasciato il Consiglio con un messaggio, l'ho invitato a riflettere sull'importanza che ha raggiunto nella mia vita, sulla necessità che io navighi fino alla diga. Il sentiero è stato tracciato adesso, nessuno lo potrà più cancellare.

Ergon: la città senza potere

Nei palazzi sacri di Ergon, il Consiglio ha voluto ascoltare quello che io soltanto sono stato capace di leggere nell'Arkejon. Ha voluto capire quello che vedo della mia storia, ha voluto sentire le mie emozioni. Io stupito da tanta saggezza ho chiesto loro di raccontarmi la loro storia e quella di Ergon. Ogni re di un universo diverso si aggrega, come me, al Sacro Consiglio. Ogni re governa sulla sua terra ma ognuno è ospite nella città eterna di Ergon. Una terra intermedia fra le mie due terre, una terra senza potere, un'aura sacra, un tremendo segreto. Le mura di Ergon narrano di più; le mura spesse della storia spessa dell'uomo, non hanno voce umana ma parole divine, parole scritte nell'Arkejon che ognuno legge con i propri occhi, e con il proprio cuore. Ad Ergon si decide il presente, l'hic et nunc, il qui e adesso, l'oggi. Tutto il resto mi addentra nelle due terre, mi riporta a qualcosa che ho narrato loro e che non credevo di sapere così chiaramente raccontare.

Qualcuno ha costruito una diga a nord del Grande Fiume. Il lago che ha sommerso l'isola magica di F. ostacola il normale fluire del tempo e dello spazio nelle due terre. Dovrò andare, sono le mie terre, sono il re, il nuovo portatore del tremendo peso. Lo sono sempre stato, ma non sempre l'ho saputo alla coscienza. Ho parlato di me, ho riagganciato eventi passati, magiche manifestazioni di vita, stupori e visioni, storie e incantesimi. Ho parlato di un me dimenticato, chiuso in uno scrigno di giada, serrato da luccchetti d'ottone o dorati.
Loro hanno ascoltato e si sono meravigliati di tanta ricchezza. Si sono compiaciuti: le terre hanno trovato il loro re, neanche io l'avreri sperato, neanche io mi sarei riconosciuto. Mi fermo soltanto il tempo per riposare e rinforzare il mio orgoglio. Domani ripartirò e tenterò di capire che cosa è successo, che cosa ha spinto chi ad innalzare muri sull'acqua, ha sommergere la sacra isola. Avrei bisogno di M., e dispero di ritrovarlo, fuggo dal desiderio sconsolato di camminare con lui ancora fianco a fianco. Riposo, ad Ergon

mercoledì 17 febbraio 2010

P., il primo mistero

Diretto ad Ergon, leggero come la neve e veloce come le stelle ripenso a te. Ti porto in ogni istante di questa mia nuova esperienza, ti custodisco, ti velo di mistero. Non rivelerò il tuo nome, lo lascerò ad un'altra vita, lo celerò come l'enigma di andare e tonare dall'aldilà ogni volta. Abbiamo avuto la nostra storia, e mi manchi, mi mancano le tue parole e la tua voce. Mi manca la libertà con cui mi hai lascaito vivere, io, depredato, diseredato, defraudato, calunniato ed infine condotto in un'isola naufraga in uno strano, immenso, mitico fiume. Con M. non ho mai parlato di te, lui non mi ha mai chiesto, io non ho mai osato il rimpianto, lui non era un tipo adatto a tali comprensioni. Eppure sapeva, eppure ti conosceva. Mi ha seguito da sempre, come poteva essere altrimenti? Mi manchi, e mi manca quella tua strana inspiegabile saggezza. Sapevi che ero vittima solo e soltanto di me stesso; sapevi che non esiste uomo o essere vivente che possa nuocere a qualcuno che vuole il proprio bene. Sapevi che tribolavo per me stesso, incolpando troppo gli altri di cose che non potevano aver fatto, perchè non erano in potere di farlo. Sapevi e hai taciuto, hai parlato per metafore, hai atteso la mia sorte, che puntuale, mi ha travolto. Non succede così adesso, non adesso. Le stesse musiche, la stessa energia, la stessa forza che si attacca alla vita, supportata da Ergon. Ho troppo pesato le decisioni di altri uomini nella mia vita. Ho pensato davvero potessero incidere sul mio destino. Adesso comprendo l'importanza decisiva delle mie, la necessità di una direzione dove io soltanto sono il timoniere, dove il mondo può restare a guardare. Cara P., sei il mio primo grande mistero, e trovo traccia di te persino nell'Arkejon, il possente favoloso libro che il Consiglio degli Anziani mi ha donato.
"Bella, la stella del giorno e della notte è intramontabile sul nuovo e vecchio regno, sui due regni, sui boschi che un tempo erano contesi, sulla città santa, su quella distrutta, sulle terre del re." Capitolo XXI

venerdì 12 febbraio 2010

Arkejon, capitolo XX

"Due sono le terre, due gli antichi regni ed uno il confine del presente. Ciò che era non è più, ciò che è stato si è tramutato, è cambiato, è perduto, è rinnovato. Il nuovo e antico re confermerà il confine, rinsalderà le frontiere, conquisterà l'oltre, vincerà l'ordine. Una nuova città, una nuova era, una nuova dinastia."

giovedì 11 febbraio 2010

La fine della città del Re

E lentamente ogni palazzo, ogni casa, ogni attività della città operosa e perfetta ha cominciato a sgretolarsi, a corrompersi, a finire. Percy mi ha guardato terrorizzato eppure fiducioso. Il castello rimarrà come simbolo di ciò che è stato, di ciò che non sarà più, di ciò che è mancato a questo regno. I due regni ritrovano finalmente la loro unità divisa in Ergon, la città santa, la città che mi richiama, che mi invoca, che mi nomina. Tu, Percy, rimarrai come reggente e guardiano in queste stanze spoglie e vuote. Sei abituato alla solitudine ma la mia vicinanza sarà potente, sarà allegra, sarà furiosa e furibonda, tenace e libera. E la città si sgretola, le sua mura cadono, le sue parsimoniose genti si corrono nei boschi e si diesperdono, incredule che tutto ciò che hanno sempre saputo, non era altro che un vuoto. Tutto chiede un abbandono maggiore, chiede un'attenzione diversa, chiede quello che non ha mai avuto. Cadono i torrioni e le nove sentinelle murate si disintegrano sotto il proprio peso. Cade la città forte, la città del re bambino inesistente. Cade la proprietà di se stessi e la tenace voglia di mantenere ogni cosa sotto il proprio controllo. M. non mi aveva detto fino in fondo che cosa stavo cercando. M. mi ha lasciato andare perchè dovevo, perchè un tempo sono stato re e poi ho abdicato, ho rinunciato e adesso sono tornato. Sono stato un mago e ho imparato le sacre arti da chi prima di me le aveva apprese da altri che oggi non vivono più. Sono stato potente, sono stato padrone, sono stato libero, come adesso. Non manca molto alla nuova luna e la barca mi condurrà ad Ergon alle sacre radici della vita di tutto questo.

Nella stanza del Re

Ho seguito Percy e lui ha permesso che non perdessi le sue tracce. Non so spiegarmi come abbia fatto a salire fino al castello, magnica creatura della mia mente, immaginifico pensiero, distillato estratto di questo mondo che mi circonda. Non so come, ma lui mi ha condotto nel cuore del cuore del vecchio regno. Nessuna sentinella per me, nessuna guardia armata, soltanto saloni di spettacolare bellezza, scale e corridoi, ingressi e porte decorate. Soltanto stanze vuote. Percy ha corso, io l'ho rincorso. Percy ha lasciato che la mia vista non lo perdesse mai, è stato lui a volere il mio ingresso a palazzo. E quando la stanza del re bambino ha mostrato la sua essenza, la sua risonanza, la sua bellezza, ho capito tutto. Ho capito che non esiste, ho capito che non c'è nessun re bambino, ho capito che quei capricci sono soltanto le cose che mi lascio alle spalle, sono soltanto le paure che non ho più e che come il re hanno lasciato un'eco senza voce, una candela senza fiamma, un albero tagliato senza più la sua chioma.

Percy: "Hai trasgredito ogni mio avvertimento. Hai abbandonato l'isola a te assegnata violando le sacre terre di Ergon; hai navigato l'innavigabile fiume Ermo, per oltrepassate le tristi paludi di Milmia ed attraversare la città del potere. Sei dunque salito misteriosamente alla stanza del trono per appriopriartene e soprattutto per sapere chi sei. Benvenuto mio Signore, aspettavamo un re così, l'Arkejon lo aveva annunciato."

domenica 7 febbraio 2010

Il castello del Re


Sospeso, sospeso come i miei pensieri. Il castello del re non ha ingresso per piedi umani, non ha scalinate, non ha fondamenta sulla roccia. Sospeso, fluttuante come la resistenza inspiegabile al disordine imperante, al caos travolgente alla follia riedificante. Il re trattiene tutto, domina l'ordine e diffonde un infondato senso di scurezza, un insano attaccamento alle regole. Percy ha trovato un modo per salirvi eppure qualcosa di lui non mi convince più. Sembra che dietro ogni cosa di tutto questo si celi un profondo terribile segreto, qualcosa che lui conosce bene. L'Arkejn recita:
"Non sempre qualcosa che impera ha l'autorità per farlo, eppure quasi mai nessuno ha voglia di scalfire un'autorità che si autoproclama, neppure se questa non ha la potenza necessaria per sostenersi."

martedì 2 febbraio 2010

Nella città del Re


Ho ritrovato il giovane Persy. Si è stupito della mia tenacia, della mia capacità di compiere cose senza senso. Il re non vuole vedermi, e lui me lo aveva detto chiaramente. Il re sa cose sul mio passato che ai suoi occhi mi scerditano, mi teme, mi considera come un nemico. Adesso si chiede perchè avrei compiuto un viaggio così lungo per andare contro a quello che per lui è il flusso normale delle cose. Dal canto mio io per primo trovo strano lui e questo luogo. Qui tutto sembra avere un senso chiaro e logico. Qui ognuno è indaffarato a compiere il proprio lavoro, le proprie faccende, e così appaga la propria ansia di vivere. Sono proprio fuori luogo, sono proprio diverso, io che faccio quello che M., un uomo che ancora oggi definisco misterioso, mi ha detto di fare; io che seguo l'onda energetica di Ergon e rispondo alle attese di un consiglio di anziani chiusi in una città ai confini degli spazi mentali...sono un pazzo eppure mi vanto di questa follia. M. mi ha detto che il re saprà dirmi chi sono, saprà canalizzare la mia attenzione altrove, forse, un'attenzione che adesso si è rivolta soltanto verso questa città, una città solare, apparentemente libera eppure incatenata alle mille cose da fare, da sbrigare, da compiere. Sono sbalordito dal brulichio incessante delle persone che da una strada all'altra corrono, camminano veloci, si scambiano poche necessarie parole. L'Arkejon conferma i miei sospetti, parla fra le righe di un futuro diverso, dove all'ordine si sostituirà la libera espressione. Il giovane Persy è tornato turbato al palazzo, arroccato al centro della città, stupito dalla mia incomprensibile tenacia. Mi annuncerà, mi farà uccidere prima che io lo raggiunga o forse resisterà e farà finta di non avermi mai incontrato, abbagliato dall'illogica voglia che si sprigiona nelle mie parole. Mi ha chiesto come abbia potuto navigare un torrente impercorribile e per giunta nel senso opposto. Non si capacità delle forze che mi hanno portato in questa burocratica città. Qui il re bambino sprigiona tutta la sua voglia di ordine e funzionalità. Qui, come un sole emana la sua luce, così lui irradia il suo potere senza mostrarsi chiaramente, sewnza permettere allo sguardo di poterlo fissare. Percy mi ha di nuovo messo in guardia, mi ha di nuovo minacciato: se insisterò, se non me ne andrò da qui, saranno guai. Ergon palpita ancora nelle mie vene e il sacro libro mi rincuora sul da farsi.

lunedì 1 febbraio 2010

La città del Re

Enneade di torri a fortezza della perfezione, come nove furono gli antichi dei. Forte coraggiosa e spavalda, la città del sole brilla della luce del suo Signore. fiera e minacciosa, chira e ordinata, sicura, difende i suoi segreti nell'immagine della perfezione, nella pittoresca apparente semplicità. Sono giunto alla mia meta, sono arrivato.

Plotino; Enneade I,VI

"Dunque l'idea si avvicina alla materia e pone ordine tra le parti multiple, di cui una cosa è fatta, combinandole insieme. L'idea le riconduce a un tutto ordinato, e crea l'unità accordandole loro, perché essa stessa è una, e l'essere che prende da lei la forma deve dunque essere uno, almeno nei limiti in cui può esserlo una cosa composta da molte parti."