...due sono state e sono tornate le terre, due furono e sono di nuovo gli antichi regni ed uno è rimasto, da sempre, il confine del presente...

giovedì 25 febbraio 2010

Tindòra e il lago Fato

Nessuno, nessuno. Le nove colonne del tempio, come furono le torri della città del re rovinata, sono sole ad aspettare chi per primo, ha il coraggio di afferrare l'oggetto sacro, nel sacta sancotorum. Nove colonne come nove un tempo erano gli dei venerati nella città. E di questa soltanto fondamenta, soltanto la rovinosa fine. E' stata forte Tindòra, è stata direzionale, funzionale, utile e austera. I sacerdoti non ammettevano dissenzi, non volevano controversie, e giudicavano e svalutavano e combattevano qualunque eresia si presentasse davanti a loro. Eppure il mago, da essi stessi generato, ha fatto la loro fine.
Nove colonne, nove come l'enneade sacra, come l'imperfetto che tende alla perfezione, come l'uomo proteso al divino dieci. I sacerdoti hanno custodito qualcosa che tutti avrebbero voluto e il mago, o forse M., alla fine del suo tempo ha riposto lì, ha riconsegnato alla storia fuori dal suo tempo. Il deserto la inonda, la sommerge e il vento la riscopre, la rivela sempre. Tindòra, la sacra città decaduta dei sacerdoti, l'austera via da seguire, la dritta via da non dimenticare e che nonstante tutto, è scomparsa nelle sabbie calde dell'oblio. Oggi posso sorridere per essere stato bambino fra le sue porte, fra le sue mura di terra e fango, per aver capito in tempo che cosa mi attendeva, che cosa attendeva tutti. Oggi sorrido e torno a rubare quello che mi appartiene. Lontano il lago Fato, grazie al quale, secoli fa, mi sono salvato.

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