...due sono state e sono tornate le terre, due furono e sono di nuovo gli antichi regni ed uno è rimasto, da sempre, il confine del presente...

mercoledì 31 marzo 2010

Al diavolo

..forse non troverò mai quel maledetto castello, e non parlerò più con M., e vedrò sprofondare ancora una volta la mia isola...e forse l'aquila bianca non si presenterà più ai miei occhi, ma nessuno, nessuno potrà mai togliermi il piacere di aver vissuto quello che è stato e quello che è venuto dopo. Seduto nella piazza principale di Flauris mi godo il rispetto e l'ammirazione per colui che l'ha fondata, mi godo la serenità del condottiero a riposo. Al diavolo tutto il resto (mi sia concessa questa scivolata di stile).

martedì 30 marzo 2010

Splendor Mundi: la città capitale di Flauris



Esiste un'aurea proporzione anche per tutto cò che si dovrebbe fare e ciò che si vuole fare. Vorrei volentieri lasciare il primo gruppo ad altri, ma il re sono io e non mi è assolutamente concesso. La città è in festa, è nata e cresce come una festa. La primavera esplode ovunque ed io mi aggiro euforico ed entusista per le viuzze a cercare di imparare e conoscere quante più cose possano mettermi in contatto con una parte di mondo lontana dalla mia quitidianità. E' strano fare cose che non si sono mai prese in considerazione, ed è bello buttarsi nelle novità. Sono il factotum del Regno, e mi diverto, anche se il pensiero dell'aquila bianca è sempre con me. Voglio erigere alte mura, con nove grandi torri, proprio come la religione di un tempo voleva. Eppure stavolta saranno dieci, perchè in più c'è quella centrale, quella che Attentio, instancabilmente porta sempre più in alto. Dieci torri, dieci diademi sacri. Flauris è in festa, la sua popolazione aumenta, la sua potenza cersce ogni giorno. Il Consiglio Sacro di Ergon veglia sul mio operato, mi sostiene, mi guida. Presto qualcosa risorgerà.




"Quando fu intenzione del Santo, che Benedetto Egli sia, di conferire gloria alla propria gloria, nel suo pensiero sorse la volontà di diffondersi. Il Santo produsse dieci corone, diademi sacri, in alto, con le quali Egli si incorona e siveste. Egli è in esse ed esse sono i lui; come la fiamma è unita al tizzone, così là non esiste separazione" Dal libro dello Zohar

lunedì 29 marzo 2010

Numeri magici, magiche terre

Attentio mi mostrava delle conoscenze formidabili. La torre che io gli ho commissionato e che adesso sorge al centro della città capitale Flauris rispetta determinate dimensioni, determinati criteri matematici. Non sono mai stato attratto particolarmente dalla matematica ma se c'è del misterioso allora tutto cambia. mi ha parlato di una 'proporzione divina', la sezione aurea. Sapevo della sua esistenza ma quello che non avevo mai notato è la sua correlazione con i numeri di Fibonacci (1,1,2,3,5,8,11...). Presi a coppie adiacenti e messi in frazione l'approssimazione costante al numero phi è impressionante. Attentio non solo ha costruito la torre rispettando la sequenza di Fibonacci, ma l'ha fatto consapevole che l'approssimazione sempre maggiore ad un numero puro e adimensionale avrebbe esaltato la mia mente e la mia fantasia, e così è stato. Magnifico Attentio, lo nominerò reggente ad vitam della nuova capitale, quando mi deciderò a partire per il nord. Intanto mi crogiolo in queste riflessioni, dando un'occhiata ad Ovest, e rifletto sul bello, sul vero, e sul giusto...il capomastro ha parlato anche di queste tre qualità. Studio per diventare un re migliore e riscopro improvvisamente il valore di tre 'cose' che credevo appartenute soltanto al rinascimento e ad una religione sciocca e superata. Eppure non è così. Magica la vita, magiche le terre del re.

L'aquila bianca e il castello sul lago



Quello che non avrei mai crdeuto è successo. L'ho rivista. Ha volteggiato ancora una volta sopra di me, ad altezze impensabili e poi si è diretta a nord, proprio dove avevo pensato di dirigermi anch'io. Si è trasformata, è cambiata, porta i segni di battaglie perse ed è tornata forse per riposarsi fra le mie braccia. Forse mi sta cercando e i boschi di Pietra le hanno impedito di vedermi. Ha superato Flauris dopo aver volteggiato sulla splendida torre che Attenzio ha ainnalzato fino al cielo. Ricordo la sua fuga dal regno, ricordo le stagioni che si susseguirono veocemente, come un anno in un attimo, e ricordo la decisione persa ferttolosamente nella notatta precedente. Ricordo che decidemmo così per il suo bene, per il mio bene e per le terre del re. Ricordo la sua dipartita accompagnata da immensi stormi, storditi dall'improvvisa fine della lunga primavera. Ha sofferto, è scappata ad Ovest nelle terre di morti e non si è più ripresa. E' un'aquila bianca adesso, una splendida aquila che nel cielo riempito di nuvole scompare, come vapore...e che cosa altro sono le nuvole? Sono propio felice di averla rivista, mi condurrà al castello sul lago, mi condurrà a cose che non voglio perdere o dimenticare, sempre che riesca a starle dietro; corre e sfugge velocemente. Ho parlato con Percy a Ergon, non sa nulla del lago ma sicuramente è a Nord, nella zona dei grandi laghi. Eppure non lo ricordo molto grande ma contenuto, modesto, mite e profondo. Sono passato da Flauris e per addesso mi fermo qui. Attenzio dice che il popolo chiede del suo re e non posso esimermi dal presentami loro come tale. Le stirpi per adesso vivono in pace. Sono notevolmente aumentate di numero e la torre è uno splendido monumento alla pace e alla serenità. E' una capitale splendida, degna del re che sento di essere. Mi manca M., l'aquila bianca, P., Ergon, il castello, il lago e tutto quello che vorrei concentrare nelle mie mani e rivedere ogni volta che voglio. Ma la vita è anche saper aspettare, saper rimandare, saper attendere.

venerdì 26 marzo 2010

Correte!

[...] Si smaglia la tela (il tempo)
si srotola la torah (il tempio)
per sgualcirsi, sacrilego
(maldestro) malfattore.
Sono il cane e il cacciatore
(correte!), come un tempo
il cane, la volpe e il cacciatore
furono me (correte!). Nel
riflesso intermittente (o continuo)
del lago vedo me, me e me (e il mago).
Scorgo nuovi presagi di follia (magia
del lago
); nuove paure sotto il filo (del lago).[...]

(Tratto da 'Confuso' poesia inedita)

mercoledì 24 marzo 2010

In mezzo il Grande Fiume

Da un lato la calma intollerante, dall'altro la fretta paziente. In mezzo il Grande Fiume.

martedì 23 marzo 2010

Da "Invictus" di William Ernest Henley

Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita
Io sono il padrone del mio destino.
Io sono il capitano della mia anima.

Magnifica Ergon, povero Re.

Un giorno ancora, avrei voluto un giorno in più. Eppure provo resistenza a tornare nelle terre che io stesso ho ingrandito e curato e mantenuto. Flauris reclama il suo Re; tutto il regno, diviso e unito brama la mia presenza, eppure volentieri sarei voluto rimanere ad Ergon. Il Consiglio dei Re mi ha enormemente confuso stavolta. Ci sono cose che mi sfuggivano, dinamiche inattese e altro di cui non credevo l'esistenza. Sono impaurito, confuso e senza energie. Tutte le mie forze le ho impiegate ed Ergon, la città santa, fortezza della mia mente, ma pur sempre città fuori dalle terre del regno. Da lontano osservo le mura e navigo, naufrago, un mare pietrificato, incredulo che tutto possa tornare come l'ho lasciato. Nevica anche sulla strada di ritorno. Il Lapis Lapsus diventa pesante, insopportabile da condurre ancora; e non ho le energie per tornare al popolo di Aur, sulle montagne, per cercare di incontrare M.. Qualcuno mi trova cambiato, e le terre stanno seguendo le mie lente primavere e i miei freddi inverni. Qualcuno cerca di far breccia nelle mie deboli difese ed è per questo che ho deciso, straordinariamente di tornare al castello sul lago, il castello del Grande Mago, il castello che un tempo è stata la mia dimora. Un suicidio, una pessima idea, M. non ne sarebbe felice. Eppure troppe cose non sono ancora state risolte, chiuse, estinte. Ho toccato un me che non sentivo da tempo; ho scoperto cose che credevo perdute, energie dimenticate o accantonate. Sono un povero re confuso, un povero re. Magnifica Ergon. La luna, torna a calare. Ci rivedremo al suo prossimo ritorno. Magnifica Ergon.


"Il Re capirà che riflettersi nello specchio non è soltanto sorridere o cantare alla vita." Arkejon cap XXIV.

venerdì 19 marzo 2010

Il popolo di Aur


Fra le montagne, dove finiscono i verdi bosci e cominciano le nevi perenni, le stesse che inondano adesso tutto il regno, mi ha condotto un uomo, un abitante di Aurima. Il popolo di Aur ha fondato la città poco dopo che Magèia, la dimora dei Grandi Maghi, si è eclissata ai loro occhi. Dipendevano da loro, dai maghi, perchè sono un popolo nato per creare. Forse per paura, per fragilità, oppure per una naturale innata voglia di solitudine, si sono ritirati laddove i Sacerdoti non hanno mai potuto trovarli, e neanche sapere della loro esistenza. Il bosco li ha protetti, la neve ha gelato l'aria rendendola irrespirabile, per chi non era benvenuto. il Grande Fiume ha trascinato con forza lontano chi non doveva arrivare a loro. Ed ora, ora che qualcuno mi ha condotto qui, non posso fare a meno di notare la loro bellezza, la loro purezza, la loro immensa creatività. Non amano troppo parlare, non amano narrare della loro storia, delle loro 'cose' misteriose, eredità di un passato denso di vicende, di eventi magici e mistici. Non mi dicono nulla della loro religione anche se sanno misteriosamente chi sono. Mi riconoscono, mi portano il rispetto che si deve ad un re ma non per questo si prostrano, o si sottopongono. Non lo vorrei e non voglio farlo, non ce n'è bisgono, non ce n'è necessità. Sono disabituati al potere regnante, disillusi e scostanti dell'autorità. Li lascio così e mi stupisco che neanche l'Arkejon ne parli. Sono assenti da ogni memoria eppure loro ricordano tutto, tutto. Nascondono molte cose, cose che hanno appreso in un passato lontano e conoscono qualità della materia e della natura che li circonda che io non saprei neanche distinguere. Mi accolgono pacificamente e silenziosamente: hanno qualcosa da dirmi. In cerchio, alle pendici innevate delle alte vette, a ridosso di rocce vecchie quanto il mondo, mi rivelano della presenza di M.. Sono abbagliato, stupito, esterrefatto. Sanno dov'è! è passato di lì, dopo la mia fuga dall'Isola, da loro. E presso di loro ha dimorato, per tornare ad Ovest. Eppure domani dovrò essere ad Ergon, non posso cambiare strada. Anzi sono già in ritardo, non ce la farò...scopro allora che un misso, ogni giorno visita Ergon, da sempre e da sempre si informa e si aggiorna sulle condizioni del regno rimasto irrimediabilmente diviso nelle due terre entrambe fuori dalla loro mportata. Ergon ed il popolo di Aur, e infine M.. Ergon, mi dicono essere molto più vicina di quanto io creda, vicinissima. C'è una strada nella vallata, segnata da uno steccato, più breve per raggiungerla anzichè navigare il Grande Fiume. Questo mi hanno rivelato. Cantano e suonano strane canzoni, meravigliose; costruiscono strane case, in materiali mai visti e dalle proprietà misteriose; dimore in movimento statico, in equilibrio dinamico, in antinomica forma. Meraviglia del Regno, meraviglia della natura.
Riprendo per Ergon scortato da uno di loro, uno che non mi ha rivelato neanche il suo nome. Rivelare il nome è rivelare l'essenza. Silenti, oscuri viaggiamo veloci. Tornerò a Aurima appena portò. Devo trovare M., devo raccontargli tutto quello che è successo. Intanto nevica.

giovedì 18 marzo 2010

Le alte vette innevate

Immediatamente, istantaneamente, la mia mente ha voluto vederle, ha voluto riprodurle, ha voluto arrivare dove non si sente freddo. E prima di Ergon, che dista due giorni di viaggio ancora, per la nuova Luna, prima di Ergon le splendide vette sono emerse maestose. Follie del Re, di chi in sè produce e riproduce ciò che desidera. Follie di chi sovverte le regole, libero da schemi tragici o comici, libero da strategie mentali, da credi futili o irriverenti dogmi verso la presunta libertà umana. I miei pensieri sono stati rapiti dall'immagine iperbolica e utopica di una comunione celeste dogmatica impossibile e polivalente...eppure sarebbe sciocco pensare che la nostra ragione sia valida ovunque, anche sulle alte vette.

Streghe e nebbie

Stavolta non mi sono chiuso in me stesso, non mi sono escluso ma ho atteso. Il fiume scorre, lento, inesorabile e un giorno vedrò la foce, a nord. Per il momento mi sono accontentato di rimanere ad osservare, partecipe, il rumore delle streghe e i tentativi di dirottamento delle nebbie. La mia barca ha continuato indisturbata la sua traversata, e questo mi rende fiero e leggero, un po’ di più. Sono leggero, una piuma e questo devono averlo intuito…questi giorni sono stati terribili, ho scoperto verità su P., che non avrei voluto vedere. Trovata, perduta, ritrovata e persa di nuovo: adesso credo davvero fosse tutta una finzione. E’ terribile scoprire di essere stati ingannati, ma è bello far forza sulle proprie capacità cognitive elementari. Adesso so di essere stato imbrogliato, e lo sapevo allora, eppure, senza usare nulla della mia mente, ho accettato l’imbroglio come vero. Lo facciamo spesso, lo facciamo tutti, ma difficilmente ci smascheriamo da soli. P., eri e rimani un sogno che scivola adesso inesorabilmente nell’oblio dei ricordi persi. Eri e rimani qualcosa che sfortunatamente non ho mai afferrato, compreso appieno, saputo legare ad altro. Ti leghi ad altro, ti leghi ad un profondo più fondo che adesso non ho il coraggio e la forza di osservare. Ti leghi a me, a quello che sono stato, alla creatura che sei diventata nei miei pensieri. A presto, troverò il modo per rincontrarti nelle tue mutevoli forme.

Sulla strada di Ergon

Le paludi di Milmia non mi hanno risparmiato neanche stavolta, ma sono stato più pronto a superare le insidie che mi hanno proposto. Ho riflettuto molto in questi giorni, e ora che ne mancano soltanto altri tre prima che la nuova luna sorga su Ergon ho tratto le mie conclusioni. Diverse streghe hanno turbato le mie giornate, diverse nebbie hanno accluso il mio sguardo ma infine, nel silenzio e nella riflessione interiore, ho saputo superare tutto. Sono grosse conquiste per una persona come me, abituata ad affrontare tutto di petto, tutto con la sagacia del predatore e del cacciatore. Sono decisamente la persona più strana che io abbia mai conosciuto.

martedì 16 marzo 2010

Cosmogonia: la religione e le Due Terre

La religione è rarefatta, diffusa e limitata a pochi arcaici, residui riti. Il Grande Mago ha voluto con tutte le sue energie estirpare definitivamente il culto dell'enneade sacra di Tindòra per riportare la purezza originaria dei suoi predecessori, antenati e padri; e lentamente, con fatica, con scalpore ce l'ha fatta. Le stagioni, le pioggie, i soli roventi l'hanno cancellata, l'hanno dissolta come neve, come una pesantezza che non preoccupa più, come rocce sgretolare da eccessive escursioni termiche e da forti venti carichi di sabbia. Quando le prime genti si stabilirono lungo il grande fiume, ebbero l'intuizione della divisione contenuta in un'unica terra, eppure vollero mantenerla integra e pura. Appresero velocemente la capacità di amare, di volere, e infine compresero che molto di quello che incontravano con la loro mente poteva essere conosciuto. Divvennero maghi, Grandi Maghi e la fondazione di Magèia fu qualcosa di spontaneo. Attentio, il capomastro di Flauris, sostiene che era da quei lontanissimi giorni che non si costruiva qualcosa di così grande come la torre che ho voluto per la mia città. La religione venne molto tempo dopo. I Maghi non abbracciarono nulla di più di quello che potevano percepire e ascoltare in ciò che li circondava, ma l'arrivo dei Sacerdoti cambiò molte cose. Furono loro a desiderare l'ordine e la regola, e loro introdussero l'Enneade Sacra come fondante del nuovo credo. L'uomo aveva bisogno di essere amato come lui amava, ma in modo ineguagliabile; aveva necessità di essere guidato da una volontà più grande e inimmaginabile. Aveva bisogno di sapere che qualcuno può conoscere tutto, laddove lui a tutto non può arrivare. E il cielo si riempì di angeli, di spiriti e di demoni. E la terra si popolò di chiaroveggenti, di sensitivi e di tutti coloro che con queste entità potevano entrare in comunione. E il cielo divenne nero, nero come l'universo più remoto e profondo, e nessuno si accorse di quello che stava succedendo. Non si può osservare quello che non ha paragone, quello che non ha confronto per farsi notare; non si può osservare qualcosa di diverso se si ha soltanto una sola visione. E tutto rimase così fino a che la terra indivisa subì pesantemente il peso delle proprie contraddizioni. E le contraddizioni generarono il disequilibrio e la disarmonia dinamica; e tutto questo condusse alla fine di coloro che per primi non avrebbero voluto quello che accadde. Le stagioni tornarono a susseguirsi, il culto si affievolì, le credenze si annacquarono e rimasero riti, formule quasi magiche, messe da scoltare ripetutamente e, come cantilene, da ricantare all'infinito. E il credo, il vero autentico credo di Tindòra tornò da dove i suoi inventori l'avevano tirato fuori: il nulla.
"Dove prima era il nulla oggi siede coluiche regna" Arkejon, cap. XXIII.
Il Grande Mago proseguì nell'opera di estirpazione, ed oggi non rimangono che poche tracce, brandelli di qualcosa di assurdo, da cercare di ricomporre, per il semplice gusto di guardare di nuovo gli errori fatti, e in questo modo scongiurare il pericolo di commetterli di nuovo. Sono curioso, perchè in universi paralleli le cose sono andate davvero diversamente. In altre galassie gli angeli ancora girano per le stanze abitate da esseri umani, parlano e rivelano la loro lingua e la loro religione. Sono curioso: che religione professano gli angeli?

domenica 14 marzo 2010

Tertium datur

Sì, devo trovare la terza possibilità, quella che non è semplicemente la sintesi fra due opposte tesi, quella che in una terra divisa in due nette metà sembra non dover esistere, quella che ovvia al bianco e al nero, alla destra e alla sinistra, all'est e all'ovest. La terza via, contraria a quello che gli antichi credevano. Devo trovare la terza via che mi faccia uscire da questa empasse, che non sia la tesi primaria e neanche il suo opposto...Flauris cresce prepotente e la torre supera oramai già le nuvole. Eppure è necessario che abbandoni i lavoro al Capomastro Attentio, mancano sette giorni, sette giorni appena sufficienti per tornare ad Ergon percorrendo velocemente prima il grande fiume, poi le paludi di Milmia. Sette giorni per riflettere sulla terza via, per impadronirmi della nuova città, per lasciare Tindòra alle spalle, per ascoltare le statue parlanti; per leggere fra le righe l'Arkejon, ancora. Mi mancano molte cose, molte che ho lasciato andare senza fermarmi su di esse il tempo necessario per viverele pienamente. Mi mancano alcuni che non sono qui, che non sono mai entrati nelle terre del Re, che ho tenuto accuratamente fuori ma che avrei voluto a corte, nella sala delle feste, nelle stanze del tè e della musica. Mi mancano luoghi che non esistono più, situazioni che non possono più essere e mi manca qualcosa che apparteneva alla mia persona e che ho perso definitivamente. La tristezza stasera gela l'aria e cristallizza le foglie. la tristezza avvolge di blu ogni immagine mentale e rende tutto notturno e a tratti spettrale. C'è qualcosa nel mio passato che lega me alla mia tristezza, che avvolge parte dei miei pensieri all'angoscia lieve della morte. C'è qualcosa forse in ognuno di noi che ci richiama alle profondità del lago, lo stesso dove ho potuto ascoltare me stesso, lo stesso che il grande Mago poteva ammirare intorno al propio castello. Porto ad Ergon una montagna di pensieri evitando di crearmi troppe spettative. Non mi sono mai fatto troppe aspettative proprio per evitare le delusioni...eppure bramo di avvolgerli delle mie terre, loro, i re di altri universi belli, splendidi e paralleli a questo. Guardo già l'altra sponda del fiume, quella ad Ovest, quella inviolabile, impercorribile, dove anche gli antichi osavano deporre solanto i loro morti...e stasera la morte si aggira nell'aria, benevola e terrificante, magica e evanescente, e mi indica l'Ovest, la terra dove un giorno tutti abiteremo. Piango e sorrido e poi piango di nuovo. "Attentio, prenditi cura della mia città, io ho impegni più importanti." A presto Ergon.

giovedì 11 marzo 2010

Le sei stirpi del mondo umano

"Le sei grandi stirpi accorrernno, come in ogni altro luogo della terra. Saranno quella di Ercole, finchè non finirà qualcosa; quella di Damocle dopo che qualcos'altro sarà successo; quella di Tantalo, e quella di Aracne, opposte nei loro mai e sempre; quella di Sisifo le seguirà nel quasi incerto, e Filemone e Bauci infine giungeranno lasciando aperta l'uscita."

Arkejon cap. XXII

mercoledì 10 marzo 2010

La fondazione di Flauris

Qui, proprio qui, poco a nord del lago Fato, non lontano dell'antica Tindòra, ho deciso di fondare la nuova città di Flauris. Ergerò una torre, alta fino al cielo e conoscerò la lingua degli angeli perchè mi aiutino nel costruirla. Sì, le ventidue lettere non avranno segreti, e coloro che ce l'hanno trasmesse non mi negheranno la conoscenza. Non ci sarà dio a confondere lingue già troppo confuse, non ci sarà maledizione per un uomo già maledetto, non ci sarà inferno per chi non ha più voglia di crederci. Una torre per dominare il mondo, il proprio mondo; una torre come vedetta, una torre alta, superba, magnifica. Una torre ed una nuova città: Flauris.
"E si compirà ciò che l'uomo non ebbe modo di terminare perché l'oscura presenza del suo dio gli sottrasse l'innegabile desiderio di successo e felicità" Arkejon cap. XXII

Nostalgia di Ergon

Presto tornerò a Ergon. Avrò molte cose da raccontare a loro.

L'Officina del Presente nel lago Fato

Dove il lago si impaluda, dove l'argine stracolmi di spine e pruni impedisce ai miei passi di andare oltre, ho trovato una passerella, per l'Officina del Presente. Gli abitanti del luogo me l'avevano detto, mi avevano avvisato: nessuno ha mai visto le altre dodici, nessuno, soltanto udite, chi una chi l'altra, chi alcune insieme. Ognuno ne sente almeno una, ognuno sa della loro esistenza, anche inconsapevolmente. L'ho percorsa velocemente, con paura e tremore, con ansia, con fretta. E già qualcosa si muoveva nell'aria. Poi una barca, fredda, vecchia. Ho remato, ho pensato e mi sono ricordato del mio castello, del ponte che introduceva le alte possenti mura, del lago, del mio nome. Non è il mio nome, questo, no davvero. M. me lo ha dato, sull'isola di F. pensando che fosse appropriato, traendolo da qualcosa che entrambi conoscevamo bene. Cambiare nome per ricominciare, cambiare per tornare e ripartire; cambiare per non dimenticare, anche se fino ad adesso l'ho fatto. E ho remato pensando al mio nome come ad un mistero da non rivelare, come a qualcosa di sacro; e ho remato ricordando le innumerevoli stanze del castello, i suoi torrioni, le sue crepe, la biblioteca, i miei libri, la sala del tè, il salone delle arti e della musica. Ho ripensato a parte di quello che è stato e ho deciso definitivamente di abbandonarlo alle mie spalle. E proprio allora ha visto l'Officina del Presente. Non è una vera palafitta, è una struttura più solida, parte in cemento, parte in legno. Sceso dalla barca poi, sono rimasto in silenzio e ho perso l'orizzonte del lago. Ho pensato, ho immaginato, in silenzio e alcune statue hanno cantato. Dodici, come i mesi dell'anno, come i segni dello zodiaco, come la perfezione terrestre moltiplicata per qualla celeste. Dodici a convincerci che qualcuno non deve essere se stesso, qualcun'altro non deve esistere, oppure non deve essere un bambino, o al contrario non deve crescere; qualcun'altro ancora non deve riuscire, o non deve essere importante, o ancor peggio non deve far parte di nulla, o non entrare in intimità; altri non devono star bene, o non devono pensare, o non sentire; e infine, forse la peggiore, qualcuno è intimato a non fare assolutamente nulla. Dodici terribili musiche che in parte ho sentito e ascoltato, mentre alcune delle altre cinque statue mi ricordavano altro, mi intimavano e mi convincevano ad altro. Ho scoperto me stesso, perchè io solatnto ho udito quella con-fusione di suoni, io soltanto in quel modo, io solanto in quel momento, nella mia officina del mio presente. Poi mi sono addormentato. Sono le mie terre, sono le terre del re.

martedì 9 marzo 2010

Il lago Fato e le cinque statue

Per giorni i miei occhi hanno affondato il loro sguardo nel profondo lago Fato. Ghiacciato lungo la riva, mosso dai forti venti del nord nel centro, il lago Fato ad Ovest di Tindòra, mi ricorda la fuga da qualcosa che non volevo più, e mi ha ricordato comportamenti che fanno parte del mio destino, che torno a ripetere e che non vorrei compiere più, perchè spesso inutili e controproducenti. Il lago Fato mi ricorda il passato. Ci sono cinque statue lungo il lago a nord est. Cinque enormi statue che cantano al passare del vento. Sono come corde che vibrano, sono misteriore creature viventi ed immobili. Ricordano qualcosa di primordiale e fanno trasalire alle loro musiche. Cantano raramenmte tutte insieme, generalmente ad una ad una, in base alla direzione del vento. Ricordano la perfezione, la fortezza, la necessità di sbrigarsi, la voglia di piacere e l'esigenza di sforzarsi. E il lago fa perdere il i miei pensieri in quello che è stato, in quello che non ho potuto fermare. La battaglia che un tempo mi portò all'isola di F. non passò da qui, non lo toccò, e forse se M. avesse preso in considerazione questa strada, forse le cose sarebbero andate diversamente. Gli abitanti del luogo chiamano questa statue Fattori. Ogni uomo, a detta di loro, sentirebbe il canto di uno coprire quello degli altri, lo udirebbe più forte, più prepotente. Si racconta di altre dodici statue, più terribili forse, sull'altra sponda del lago. Non posso raggiungerla con la mia vista adesso, ma voglio andarci, voglio vedere e sentire con i miei occhi. Un anziano mi ha consigliato di prendere una barca, a remi, e di attraversare l'immenso specchio d'acqua. Ho paura all'idea, è oscuro, man mano che ci si addentra, buio come l'universo senza stelle. Mi ha raccontato di una strana costruzione al suo centro, l'Officina del Presente. Mi ha detto che attraccando all'Officina e rimamendo in silenzio si può capire molte cose di se stessi. Prima raggiungerò le altre dodici, le vedrò, poi deciderò.

sabato 6 marzo 2010

Un incontro importante: la maga di Endor

"Com'é strana la vita! Le coincidenze! Io mi sono sempre chiamata Tessitrice di sogni. Magari nel tuo pellegrinare, ci siamo già incontrati, e nei tuoi sogni confrontati. Tu sacerdote, io Maga...o io Sacerdotessa e tu Mago. Nel mio Regno il tempo é sospeso tra il crepuscolo e la notte, quando le tinte dei Cieli assumono i colori dei cristalli, e puoi leggervi dentro la memoria akasha. Tutto si rivela e parla, come musica che emana vibrazioni e colori; e osservi come in un caleidoscopio auree luccicanti danzare nell'etere, e mi sento Regina e Dea insieme..." Maga Di Endor
Tu sei una tessitrice di sogni, tu sei una sacerdotessa. Il tuo regalo è gradito come la tua energia per queste terre. Il mio viaggio è lungo ed avere persone amiche intorno non può che portarmi ancora più lontano. Grazie Maga.

giovedì 4 marzo 2010

Il Grande Mago: quarto mistero

Sobbalzo; mi accorgo che qualcosa non torna, come è potuto succedere che fino ad adesso non me ne sia accorto? Se Ergon è stata fondata alla fine dell'era dei Sacerdoti, se davvero le sue fondamenta risalgono a quel tempo, allora nasce e cresce durante il regno del Grande Mago, tornato a far rifiorire l'antica dinastia scomparsa...possibile? pensavo che lui non avesse conusciuto la città santa, anzi ne sono certo. Lui non l'ha vista, non l'ha mai vista...eppure lei ha visto lui.. qualcuno lo conosce troppo bene per negare di averlo mai visto; si parla di lui ad Ergon si raccontano le sue magie, i suoi artifici; tutto il Regno delle due terre ne parla con nostalgia, con paura e ammirazione mista a terrore e tristezza...e lui? perchè non conosceva Ergon? davvero il suo castello sul lago era così distante dal confine? davvero i suoi occhi e la sua mente ignoravano la città fortunata, la città santa? Credo di sì, credo non avesse abbastanza forza per guardare oltre il suo lago, oltre le finestre incorniciate, oltre i suoi libri pesanti e rilegati in oro; oltre i suoi collaboratori. Vedeva un grande regno eppure non ne conosceva il confine più bello. Desiderava grandi cose eppure non concepiva una strada migliore come quella di Ergon. Rimane avvolto nel suo mantello nella nebbia; rimane sfuggente, imprendibile, etereo; è stato orgoglioso, fiero, magico e imperante; è stato umile, devoto e caparbio; irrispettoso, arrogante, duplice e molteplice; è stato qualcuno che è riuscito a superarsi, verso un nuovo orizzonte di sé. Infine si è dissolto nello stesso identico modo in cui è comparso. Un mercante di sogni.

La fondazione di Ergon: strane storie


Ho incontrato qualcuno del luogo. Mi ha svegliato ha voluto parlare con me. E' sorprendente come il mio sonno talvolta mi privi delle cose più belle. E' sorprendente come il maggior nemico di me stesso sia soltanto e solo io...A Tindòra è vivo ancora il ricordo della fine dei Sacerdoti della legge, quella legge che impediva ogni naturale bellezza, ogni magnifico spontaneo rapporto umano. E' vivo l'eco delle storie che si raccontavanpo quando Ergon fu fondata. In tasca alla legge, al confine del confine delle terre dei Sacerdoti reggenti, Ergon basò la sua potenza sulla gratuità dei rapporti e sulla necessità del rafforzo reciproco tramite il riconoscimento positivo, tramite la relazione costruttiva e rinforzante. La leggenda parla di una donna, nata sotto il segno dell'Acquario, Maia. A differenza di tutti avrebbe elargito quello che tutti negavano o misuravano, o pesavano o facevano pagare a caro prezzo. Una donna che non avrebbe avuto timore di diffondersi fra la gente e che avrebbe in questo modo fondato la splendente città libera e universale...e il regno si sarebbe spaccato di lì a poco; e i Sacerdoti, vittime delle loro stesse presunzioni, avrebbero lasciato uno strascico di equivoci e di incomprensioni che ancora oggi sono difficili da ricomporre...difficili da portare all'unità...

lunedì 1 marzo 2010

I sette sigilli

Sette sigilli. Tutto il suo regno è stato racchiuso in sette sigilli, ognuno sovrapposto all'altro e inciso nel SS del tempio di Tindòra. Il re mago non ha lasciato altro.
"Nessun sigillo è per caso. Ognuno apre, ognuno chiude, ognuno ne genera uno nuovo che attende vibrante nell'aria." Arkejon, Cap XXX